Il paragrafo che chiude il capitolo 3° e quello che apre il 4° dello Shushogi sono tratti da Hotsu Bodai Shin, il 63° capitolo dello Shobogenzo nella sua versione in 75 fascicoli .
In tutto lo Shushogi, Hotsu Bodai Shin è citato 9 volte e ben 6 volte solo in questo capitolo.
Dogen Zenji predicò Hotsu Bodai shin nel 1244 all’arrivo della Primavera mentre risiedeva a Kippoji. In quegli stessi giorni Hatano Yoshishige, il discepolo samurai di Dogen Zenji, stava costruendo Dai Butsuji (che poi prese il nome di Eiheiji).
Hotsu = Partire da, dischiudere, sorgere, apparire, fiorire da, dare nascita, rivelare, rendere manifesto.
Gan = speranza, desiderio, voto, pregare per.
Ri = Beneficio, vantaggio, propizio
Sho = vita, nascita, sorgere
I caratteri che compongono il titolo del IV capitolo dello Shushogi evidenziano chiaramente come l’esprimere il voto altruistico sia origine sorgiva del Risveglio, sia il primo, vero, passo sulla Via.
Come una pianta che sorge dalla terra, espresso figurativamente dal radicale contenuto nel carattere sho. Il ‘Risveglio in azione’, traduzione del termine Bodhisattva, prende le mosse da questo sguardo amorevole rivolto ad ogni esistenza.
‘Si parte da’, ‘scaturisce da’, ‘è reso manifesto’ nell’esprimere il sentimento di essere per altri beneficio e salvezza; è la certificazione del Risveglio.
18. Del Risveglio il sorger dello spirito
il voto è ch’ognuno innanzi a noi
salvo sull’altra riva si ritrovi.
In terra ed in cielo nessuno c’è
che non patisca piacer e pena,
e pronto sia d’ognuno il voto e l’intento:
prima di noi salvar l'altri. (1)
Far sì che ‘ognuno innanzi a noi salvo sull’altra riva si ritrovi’ non significa, a mio parere, tanto rinunciare alla propria liberazione, quanto, l’abbandonare l’illusione che possa esistere un ‘proprio’ Risveglio scisso dal simultaneo Risveglio di ogni esistenza.
A memoria dell’affermazione di Shakyamuni di fronte alla stella del mattino: 'Io e la Grande Terra e tutti gli esseri nello stesso momento diveniam la Via; le montagne e i fiumi, l'erba e gli alberi, tutto è diventato Buddha'.
Dogen Zenji afferma che il sorger dello spirito del Risveglio non dipende da alcuna circostanza, né tantomeno da premeditazione e calcolo:
'non sorge in virtù delle circostanze, né della saggezza.
Sorge nel rivelarsi di Bodaishin: è il sorgere dello spirito del Risveglio’
E’ l’imbattersi del vento del sacro che soffia dove e come vuole.
Non è richiesta premeditazione né particolare abilità.
Eno Daishi (2)era analfabeta e manteneva la madre raccogliendo legna da ardere.
Gensha Shibi Zenji (3) era un pescatore analfabeta.
Hotsu Bodai shin non è qualcosa di astratto, concettuale, ma si riferisce concretamente al modo in cui viviamo, praticando; è la saggezza che scaturisce dall’azione.
Vivo in una povera capanna di giunchi
vegliando o riposando prego perché tutti
prima di me abbiano ad attraversare la corrente
e giungere alla riva della salvezza.
Dogen Zenji
Altro grave fraintendimento, che dobbiamo abbandonare sin dall’inizio, è pensare che praticando ci stiamo muovendo sul sentiero che porta al Satori.
In tal modo stiamo ancora operando una separazione tra il nostro sforzo, la nostra determinazione e la realizzazione, creando così l’illusione di un Risveglio personale e possiamo essere spinti ad una pratica utilitaristica.
Nella pratica, noi stiamo già vivendo secondo il Principio Universale che non può essere frutto della pianificazione umana, ridotto alle umane esigenze.
La nostra pratica dello Zazen, il nostro prosternarci, è l’espressione concreta del vivere in armonia con il Principio Universale, ci predisponiamo ad essere ‘investiti’ dal sacro.
Questo è Bodaishin.
Quando Bodaishin non sorge anche lo zazen rischia di diventare solo una via individualistica alla salute.
Hotsubodaishin è praticare Zazen e perseguire la Via col giusto sforzo. E il sorgere dello spirito del Risveglio, ed anche in questo coincide al Satori, non accade una volta per tutte: ogni volta che pratichiamo Zazen o ci immergiamo nel rito con corpo e mente sorge Bodaishin, offriamo a Bodaishin l’occasione di manifestarsi.
Il Maestro Hotetsu si faceva vento con un ventaglio.
Un discepolo lo vide e gli chiese: "Maestro, se la natura del vento è essere ovunque, che bisogno hai di usare il ventaglio ventaglio?" Il Maestro rispose: " Tu sai soltanto che la natura del vento non viene mai meno: non sai quale è il significato concreto del fatto che non ha né luogo fisso né limiti. Il monaco replicò: “Ma allora quale e il significato del principio che non ha né luogo fisso né limiti?” Allora il maestro semplicemente agitò il ventaglio. Il monaco si inchinò»." (4)
L’uso del ventaglio permette al vento di manifestarsi.
La pratica è il nostro ventaglio.
Solo mentre pratichiamo possiamo intimamente percepire che stiamo vivendo seguendo l’Ordine Cosmico e questo permette di essere richiamati e motivati alla pratica continua.
‘Non celebriamo il rito perché abbiamo fede ma la nostra fede sorge celebrando il rito’ afferma Don Roberto Tagliaferri. (5)
19. Pur d’umile aspetto,
quel in cui quell’intento sorge
già guida è d’ogni esser senziente.
Anche una bimba di sette
dei quattro gruppi è guida,
amoroso padre d’ogni esser senziente.
Questione non è d’uomo o donna.
Questo è del Buddha sottil mistero,
via ch’è norma e principio primo. (6)
Il sorgere dello spirito del Risveglio rende maestri dell’interà umanità.
Dōgen Zenji fa riferimento nel capitolo Raihai Tokuzui dello Shōbōgenzō al Maestro Jōshū Jūshin che, a oltre sessant’anni, disse a se stesso: ‘Chiederò istruzione a chiunque abbia una conoscenza superiore alla mia, fosse anche un bambino di sette anni e insegnerò a chiunque abbia una conoscenza inferiore alla mia avesse anche cent’anni’
E continua dicendo: ‘Interrogare sul Dharma un bambino di sette anni e prosternarsi a lui, pur essendo molto più vecchi, è assai lodevole ed è il giusto atteggiamento mentale,lo spirito dei Buddha del passato’ (7)
Questa indicazione richiama l’esortazione presente all’inizio dello stesso capitolo in cui Dōgen afferma: ‘Perciò, dovreste chiedere agli alberi e alle pietre di proclamare il Dharma, trovare risaie e villaggi per udire le loro spiegazioni, interrogare pilastri rotondi e studiare tegole e muri’ (8)
‘Ogni cosa canta la verità senza nascondere nulla’, ha affermato altrove Dōgen zenji. Il nostro esercizio sotto la guida di un Maestro deve portarci ad aprirci all’ascolto profondo, umile e riconoscente verso ogni cosa che in tal modo ci predicherà il Dharma e non generare un’atteggiamento di saccente arroganza e dogmatismo.
Per questo Dōgen Zenji, nello stesso capitolo dello Shōbōgenzō, critica aspramente coloro che assumono un tale atteggiamento: ‘ Tuttavia, gli sciocchi che non hanno mai udito il Dharma del Buddha si considerano dei grandi monaci e rifiutano di prosternarsi ad un giovane che abbia conseguito il Dharma. Essi dicono: “Noi ci siamo addestrati per molti anni e ci rifiutiamo di prosternarci a coloro che hanno cominciato a studiare tardi nella vita e hanno conseguito il Dharma. Poiché abbiamo acquisito il titolo di maestro, non possiamo prosternarci a chi ne è privo…”Questi sciocchi, infruttuosamente lasciano la loro patria per vagare in altre contrade, senza mai vedere né udire la Via del Buddha.’ (9)
Nella nostra comune apparenza composta dai 5 Skhanda non c’è alcuna differenza tra uomo e donna, tra giovane e vecchio, ma la vera domanda da porsi è . quale pratica rende uomini e donne capaci di penetrare l’intima essenza?
20. Quando del risveglio lo spirito sorge,
anche il vagar nei sei regni,
le quattro forme del nascer,
e la causa, il caso di questo vagar
diventan voto, esercizio del risveglio.
Se sciupato il tempo in passato abbiamo,
or pronti senz’ indugio
prima che questa vita sia finita
far voto noi dobbiamo.
E se per tanti perfetti meriti
già siam pronti al divenir Buddha,
noi li dedichiamo
ad ogni vivo senziente rivolti
perché Buddha diventi
e la sua via secondi.
Sempre ci fu chi al proprio merito
di miriadi di kalpa
per l’altrui risveglio rinunciò;
solo fa guadar la riva all’altri,
d’altri fare ‘l beneficio. (10)
Una volta sorto lo spirito del Risveglio non è persa occasione per esser ad altri beneficio e dunque anche il vagare nei 6 regni : regno degli inferi, degli animali, anime insaziabili (preta), uomini, spiriti guerrieri (asura), dei celesti (deva), o nelle 4 forme del nascere: mammiferi, ovipari, anfibi ed esseri metamorfici, diviene occasione e opportunità per guidare altri alla salvezza ed essere loro sostegno e aiuto.
Il nostro buon karma ci ha portato all’incontro col Dharma e a far sorgere in noi lo spirito del Risveglio cos’altro fare se non porre questo dono al servizio degli altri?
Nel Keisei Sanshoku Dōgen Zenji afferma che in qualsiasi circostanza ci si trovi ogni volta che occorre l’intenzione di aiutare altri, la via alla salvezza, propria e altrui, si schiude. Quando nella nostra vita viviamo un momento di difficoltà, invece di chiuderci nei nostri problemi, dovremmo guardarci attorno per poter essere d’aiuto ad altri, e quando avremo abbandonato noi stessi nella cura dell’altro qualcosa o qualcuno apparirà e si prenderà cura di noi.
21. Quattro sapienze sono a sé,
ad altri aiuto e beneficio;
il dono, l’amabile parola,
l’agir proficuo, la comunione.
Queste del Bodhisattva
son l’esercizio e ‘l voto.
Il dono è non nutrire la brama.
Se nulla invero c’appartiene,
niente al donar è impedimento.
Non nel poco, nel molto,
ma nel cuore sincero il dono conta.
Del Dharma una sola strofa
o anche un verso, il dono,
virtuoso seme è in questa vita
e la vita oltre questa.
Un solo soldo o un filo d’erba
in questo mondo e oltre il mondo
saran di virtù radice.
Il Dharma è strumento
e strumento ogni dharma.
Senza bramare d’altrui il compenso,
il favor, sol dividere con loro
‘l poter, la forza nostra.
Anche far ponti, barche
è del dono la perfezione.
E offrir ripari e beni
altro non è che dono. (11)
Quattro sapienze sono a sé e ad altri aiuto e beneficio.
Un allievo chiese al Maestro:
‘come posso essere d’aiuto agli altri?’
Il Maestro rispose: ‘prenditi cura di te stesso’ ‘
e come prendermi cura di me stesso?’
Replicò l’allievo.
‘abbi cura degli altri’
Concluse il Maestro.
Più avanti nel capitolo si dirà: ‘il folle s’inganna credendo che ne vada del proprio interesse se ad esso antepone il bene degli altri’
La nostra follia, la nostra ignoranza, origine a causa d’ogni dolore, è il pensarci separati.
Ogni sforzo, anche il più appassionato, pensato per il nostro solo vantaggio, si rivela vano. Come nella storiella delle zucche di Jippōji il pensarsi separati è all’origine della disarmonia e del conflitto (la storia delle zucche di Jippōji è esposta anche in una stanza di Fudenji):
Un monaco di Jippoji, responsabile dell’orto, sente un gran baccano provenire dall’orto. Le zucche stavano litigando tra di loro, la zucca grande offendeva la piccola per il suo aspetto gracile, quella più tonda sbeffeggiava quella con una forma meno regolare e la zuffa stava degenerando, le une gridavano contro le altre.
Il monaco gridò: ‘ora fate silenzio’ e fece sedere le zucche in Zazen.
Quando le zucche si furono acquietate disse: ‘ora ponete una mano sulla vostra testa e ditemi cosa sentite’, le zucche eseguirono il compito e dissero. ‘sentiamo una sporgenza, come una piccola fune che parte dalla testa’, ‘bene’, disse il monaco, ‘ora seguite questo cordone con la mano’ le zucche seguirono il cordone e si accorsero che le loro mani si incotravano perché il cordone che partiva dal loro capo andava a unirsi a quello delle altre e compresero che vivevano di un’unica vita.
La vita di una era la vita di tutte le altre.
Bodai shin è, nella pace dello Zazen, riconoscere il cordone che ci lega ad ogni altra esistenza.
‘Il Dharma è strumento e strumento ogni dharma’ Così come l’Insegnamento del Buddha altro non è che l’occasione del Risveglio così ogni forma è monito e Insegnamento.
Noi non possiamo che badare alla forma, badare alla forma è l’unica cosa che l’uomo può veramente fare. Non badare alla sostanza perché la sostanza bada già a se stessa.
I dharma sono il limite della condizione umana, e non solo umana, ma all’interno di questo limite l’uomo percepisce il richiamo all’illimite (Dharma) ed è dentro quel limite che l’illimite si rivela (Shiki soku ze ku ku soku ze shiki).
Le quattro sapienze, ovvero le quattro azioni vittoriose/persuasive del Bodhisattva (Shishōbō) sono:
-
Fuse, il dono.
-
Aigo, l’amorevole parola.
-
Rigyo, l’agire proficuo.
-
Doji, la concorde comunione, l’identificazione.
Dōgen Zenji, a differenza della tradizione Mahayana che consigliava la pratica delle 6 Paramita:
Il Dono (Fuse), la Moralità (Jikai), la Pazienza (Ninniku), lo sforzo (Shōjin), la meditazione (Zenjō) e la Saggezza (Chi-e), insiste invece sulla quadrupla condotta delle quattro Sapienze (Shishōbō). Il motivo di questa scelta è da individuare nel rilievo che Dōgen riconosce alla dottrina del Sorgere Condizionato (Engi) che dimostra come ogni esistenza sia il frutto di cause e condizioni e che nessuna esistenza può essere considerata separate ed indipendente dalle altre. Le Quattro Saggezze pongono l’enfasi su questo ‘vivere solidarmente’ ad ogni forma di esistenza che è la fondamentale modalità di vita del fedele del BuddhaDharma. Le 6 Paramita hanno un orientamento solo parzialmente altruistico ma sono più indirizzate verso un orientamento soggettivo.
Attraverso la pratica delle Quattro Saggezze si arriva a realizzare nella propria condotta di vita la fondamentale unità di ogni forma di esistenza. E’ l’espressione concreta dell’instaurarsi di Bodai shin.
Analizzando le singole Saggezze:
Riguardo al Dono, Dōgen zenji spende accorate parole nel capitolo Bodaisatta Shishōbō dello Shōbōgenzō spiegando dettagliatamente come il valore del Dono non venga dall’entità di quel che è donato ma dallo spirito di chi offre e che si può donare un verso del Dharma, così come beni materiali ovvero il proprio stesso lavoro.
‘Rifornire un battello sul fiume o costruire un ponte è elargire doni. Se comprendiamo il reale significato del donare capiremo che anche avere responsabilità sociali e operare per il bene comune è elargire doni. Anche la politica e le attività lavorative sono di per sé un donare. Quando viene il momento, il vento fa cadere i fiori e l’uccello canta al ritmo delle stagioni.’ (12)
Che grande differenza vivere il proprio lavoro come un dono invece che come un’incombenza mortificante…
Dono è anche e soprattutto ‘non nutrire l’avida brama’.
Quando viviamo una vita semplice e non desideriamo più di quel che ci serve stiamo già offrendo un dono grandioso a tutta l’umanità. Sawaki Roshi era solito dire: ‘Se anche una sola volta potete astenervi dall’indossare dei bei vestiti, se potete fare a meno di una ricca casa, se potete fare a meno, anche per un solo istante, di un cibo delizioso, questo diventa un’infinito aiuto per tutta l’umanità’
Se ci pensiamo bene quanti degli attuali problemi ecologici e di sostentamento derivano dal fatto che interi continenti consumano avidamente molto più di quel che necessita loro ? Il 6% della popolazione mondiale consuma il 40% delle risorse disponibili e ne controlla il 60% ! Ecco allora che il pensare alla propria conduzione di vita come ad un dono è il vero cambiamento di prospettiva che salva l’umanità da questo atteggiamento distruttivo. La pratica del dono, così come le altre Shishobo, è considerata una saggezza perché ad esempio l’esercitare la pratica del Dono non supportata da un atteggiamento consapevole può essere a volte deleterio. Saggezza e Compassione devono essere sempre in perfetto equilibrio. Come nel caso in cui il dono crei una situazione di dipendenza da parte di chi riceve il dono, in tal caso la saggeza alla base del donare farà sì che il sostegno offerto sia del minimo necessario affinchè si produca spontaneamente l’affidarsi alla propria forza (Jiriki) oltre che affidarsi alla forza dell’altro (Tariki).
Il rev. Ajima Jistujo mette in guardia, nel praticare il dono nel non cadere nell’autogratificazione che porta invariabilmente ad un sentimento di superiorità. La persona che offre e quella che riceve devono mantenersi su di uno stesso piano. Noi e gli altri una cosa sola, come insegna la Saggezza del Dōji, l’identificazione.
22. L’amabile parola vuol dire
chi pensa gentile ai vivi
e offre loro dolci parole.
Amabili parole offre colui ch’a tutti
come al figlio diletto guarda.
Il virtuoso lodare,
il vile compatire.
L’amabile parola del nemico l’odio vince,
del bell’amico l’intesa ristora.
Dell’amabil parole l’ascolto
piace al cuore,
illumina il volto.
Nel segreto serbata l’amabile parola udita
Più forte incisa.
Che ‘l poter dell’amabile parola
Muove il cielo è da saper. (13)
Aigo, la parola amorevole, nasce dal riconoscere ogni forma di esistenza come il proprio figlio.
Il potere della parola amorevole è straordinario, dissolve l’odio, porta ristoro.
Se ascoltata direttamente ‘illumina il volto e riscalda il cuore’ e se la parola amorevole viene detta verso qualcuno in sua assenza questo crea un’impressione ancora più profonda.
Anche un rimprovero può essere considerato ‘parola amorevole’ quando è dettato dall’amore sincero e dalla cura per l’altro e non da personali nevrosi.
Ecco perché per poter essere guida per altri è necessario, più che particolari titoli di studio, aver fatto un percorso che abbia permesso di acquisire quella sensibilità ed equilibrio che permettono di capire quel che la situazione richiede.
23. L’agir proficuo è trovare
bei modi per far del bene ai vivi
senza guardar al nobile, ai vili.
Chi in prigione la tartaruga vide,
il passero ferito
fece ‘l bene senza favor,
il compenso cercare.
Stupido è credere che ‘l vantaggio
proprio soffra del profitto altrui.
Non è questo il caso.
L’agir proficuo è uno
l'universale bene per sé e per l’altri. (14)
Proficuo agire è cercare il beneficio altrui lasciando cadere il freno e l’illusione che l’altrui profitto non sia concorde al proprio o addirittura che possa procurarci svantaggio.
Proficuo agire è anche il proprio comportamento quotidiano che diventa ispirazione e sostegno ad altri.
La nostra cura, il nostro gesto armonioso, pacifico, possono di per se stessi essere già un grande aiuto per chi entra in contatto con noi, possono essere d’ispirazione e conforto.
24. La comunione è non separare;
sé, l’altri non separar.
Così il Tathāgata
d’ogni uomo patì l’affanno.
Il principio è veder l’altro come noi,
noi come l’altro uno; come ‘l mare
ch’onda alcuna per sia fonte respinge
un vasto profondo oceano diviene. (15)
Raimundo Panikkar, nel conversare con una monaca di Madre Teresa, quando questa affermò che tutto quel che faceva lo faceva per Cristo, replicò che finchè lei lo avrebbe fatto per Cristo la sua azione avrebbe perso la sua purezza, ovvero la sua azione sarebbe stata comunque contaminata. Lei avrebbe dovuto agire perché chiamata ad agire dal sentimento di comunione, perché il dolore dell’altro era il suo stesso dolore.
Questo è il significato profondo di Dōji, dell’identificazione o concorde comunione.
25. Gravi, sereni pensare dovremmo
al primo destino che è del risveglio
il sorger dello spirito far voto.
Nell’opra di salvar l’altri
venerar dovremmo e con rispetto
il merito (la grazia) ch’a tutti
consente di ricevere guida ed aiuto. (16)
NOTE AL TESTO
(1)
Shūshōgi traduzione del Maestro F.Taiten Guareschi
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(2)
6° Patriarca cinese, 638-713
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(3)
835-907
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(4) Dal Genjo Koan di Dogen Zenji
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(5) Roberto Tagliaferri, teologo liturgista, docente presso S.Giustina e Seminario Teologico di Fudenji
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(6) Shushogi traduzione del Maestro F.Taiten Guareschi
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(7) Shobogenzo, traduzione sulla versione inglese di Kosen Nishiyama a cura di Sergio Oriani, editrice Pisani 2003
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(8) Shōbōgenzō, traduzione sulla versione inglese di Kōsen Nishiyama a cura di Sergio Oriani, editrice Pisani 2003
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(9)Shōbōgenzō, traduzione sulla versione inglese di Kōsen Nishiyama a cura di Sergio Oriani, editrice Pisani 2003
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(10) Shushogi traduzione del Maestro F.Taiten Guareschi
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(11) Shushogi traduzione del Maestro F.Taiten Guareschi
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(12) Shobogenzo, traduzione sulla versione inglese di Kosen Nishiyama a cura di Sergio Oriani, editrice Pisani 2003
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(13) Shushogi traduzione del Maestro F.Taiten Guareschi
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(14) Shushogi traduzione del Maestro F.Taiten Guareschi
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(15) Shūshōgi traduzione del Maestro F.Taiten Guareschi
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(16) Shūshōgi traduzione del Maestro F.Taiten Guareschi
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