Replica di un'antica statua di Gautama
Buddha, trovata a Sarnath, vicino a Varanasi
Proseguo dunque il mio commento
supportato da estratti dei capitoli dello Shōbōgenzō che
vi leggerò per esteso perché possano essere
anche per voi oggetto di riflessione.
I capitoli dello Shōbōgenzō che
hanno ispirato la composizione di questo secondo capitolo
dello Shushōgi sono:
Keisei Sanshoku (La voce della
valle e il colore della montagna)
Sanji Go (I tre tempi della
retribuzione Karmica)
Bendowa (Dialogo sul sentiero della
devozione ovvero Sul cammino religioso)
Il titolo del capitolo è Sange
Metsuzai. I caratteri che lo compongono sono San Ge: Entrambi
i caratteri possono essere tradotti con ‘rammaricarsi’, ‘confessare
una colpa’ ed entrambi hanno al loro interno il radicale ‘cuore’ e,
in particolare il carattere ‘Ge’ rappresenta
il cuore di una madre.
E’ dunque evidente lo
spirito, il cuore con cui il rammarico và manifestato,
la sincerità con
cui deve essere vissuto l’atto ci confessione e il
prendersi cura, proprio come una madre, della propria limitatezza
umana.
Kokoro è un’altra pronuncia del carattere
cuore e in Giappone questo termine viene utilizzato per esprimere
la purezza e sincerità di un’azione. ‘Hai
agito con Kokoro’ si usa dire.
E Metsu Zai: Metsu che
significa distruggere in cui sono rappresentati l'acqua ed
il fuoco e Zai che è la colpa, il peccato e raffigura
l'errore, il negativo sovrastato da una rete. Può essere
reso pertanto con Confessione e Pentimento. Il Maestro Taiten
raccontava come Maezumi Roshi traducesse il termine Metsuzai
che in Inglese è reso con ‘atonement’ spezzando
la parola in ‘at-one-ment’ suggerendo così il
senso del ricondurre ad unità come effetto della confessione
e del pentimento. Attraverso la pratica del Sangemon: la
porta della confessione, abbiamo l’opportunità di
riazzerare, ‘resettare’ la nostra vita, usando
un termine informatico, ovvero di ritrovare la sintonia col
ritmo dell’Universo.
L’Ordine Cosmico (così Deshimaru
Roshi era solito tradurre il termine ‘Dharma’)
ha un ritmo, un passo, che perdiamo a causa del nostro egoismo,
a causa della nostra visione limitata e quando perdiamo il ‘passo’ con
il ritmo dell’Universo soffriamo. E’ Dukkha,
la ruota che scricchiola nell’affanno di seguire un
sentiero accidentato, che non ruota agevolmente sul suo mozzo.
Questa estate, ho portato al mare i miei bambini, sono salito
su di una canoa e mi sono allontanato dalla riva, ho raggiunto
una boa e ho legato la canoa per godere del silenzio e lasciarmi
cullare dalle onde, il mare non era mosso ma c’era
corrente e piccole onde. Legata, la canoa ha cominciato a
sobbalzare, a ‘penare’ nel suo resistere alla
corrente ed era tutt’altra sensazione che essere cullati.
Appena liberata, la canoa ha ritrovato quiete, e, spinta
dalla corrente è stata cullata dalle onde senza alcun
sussulto. La nostra vita procede nello stesso modo, ci aggrappiamo,
tentiamo di arrestare il fluire della vita e immediatamente
sopraggiunge il disagio, la sofferenza, siamo ‘sballottati’ dalla
vita stessa.
Appena la mente si libera dei
legami, lascia andare la presa, ecco la quiete, il Nirvana,
la barca è cullata
dal ritmo dell’Oceano.
7.La porta
della Grande Compassione aperta han lasciato Buddha ed
i Padri per la loro grande Misericordia, perché in
cielo ed in terra realizzato sia il Risveglio. (Shushōgi dalla traduzione recitabile
del Maestro F.Taiten Guareschi)
“Ogni Buddha e ogni
Tathāgata possiede la meravigliosa capacità di
raggiungere la suprema e perfetta illuminazione; essi si
trasmettono questa illuminazione dall’uno all’altro,
senza alterazione. Questa abilità trascende ogni espediente
umano e non ne è limitata; essa è detta Jijiyu
Zanmai (giocare gioiosamente nel Samadhi), il corretto metodo
e modello di trasmissione da Buddha a Buddha” (Bendowa,Shōbōgenzō,
editrice Pisani)
E’ il senso della trasmissione, come
trasmissione del Risveglio. Buddha ed i Patriarchi, pur avendo
realizzato la vacuità di ogni fenomeno hanno continuato
ad insegnare e a praticare, e il loro Esercizio, il loro
Insegnamento, è la Porta compassionevole attraverso
la quale tutti gli esseri possono raggiungere il Risveglio
e la Liberazione.
Ancora dallo Shōbōgenzō Bendowa
da cui son tratti questi passaggi: “Sentire l’eco
della vacuità è come il meraviglioso suono
di un martello prima e dopo che abbia colpito una campana…”
E’ una
magnifica definizione del Risveglio. Immaginate per un momento
il gesto del braccio che colpisce il moppan, mentre l’uomo
immerso nell’illusione percepisce solo il suono che
scaturisce dal martello nel colpire il legno, il risvegliato
percepisce il suono del martello prima e dopo il colpo, riesce
a ‘vedere’, percepire, la risonanza, la Legge
di Causalità e si lascia guidare da questa ‘visione’,
da questo ‘ascolto’. continua il Capitolo secondo
dello Shushōgi: “Il cattivo karma torna sicuro
nei tre tempi, ma il pentimento gli effetti riduce, porta
ristoro e purezza. Davanti al Buddha quindi pentiamoci in
tutta sincerità.” (Shushōgi dalla traduzione
recitabile del Maestro F.Taiten Guareschi)
Ecco il riferimento
specifico alla Legge di Causalità, al Karma. La Legge
di Causalità agisce costantemente anche se non ne
percepiamo immediatamente gli effetti, perché gli
effetti si estendono nei tre tempi, passato, presente e futuro.
Afferma Dogen Zenji nel capitolo Sanji Go dello Shōbōgenzō (i
tre momenti della retribuzione karmica): “La Causalità è retta
da un principio non diverso da quello per il quale l’ombra
accompagna l’oggetto e non perde forza neppure col
passare di centomila kalpa.” (Shōbōgenzō editrice
Pisani)
Dogen Zenji afferma qui la ‘scientificità’ della
Legge di Causalità. “Profondamente e sinceramente
pentito al cospetto di Shakyamuni Buddha la virtù che
ne deriva purifica e salva. Questa virtù sviluppa
la fede e la devozione, quella fede che ci riunisce oltre
ogni discriminazione e del cui merito gioiscono l’esistenze
senzienti ed insenzienti.” (Shōbōgenzō Keisei
Sanshoku : La voce della valle e la forma della montagna,
traduzione di Yaoko Mizuno)
8. “Del pentimento
il merito non solo arreca ristoro e purezza , ma favorisce,
libera da dubbio, sincera la forza e la fede. Pura la fede
quando compare (appare) trasforma noi e gli altri e ‘l
suo beneficio s’estende senza confini ad ogni cosa
e ad ogni vita animata ed inanimata. (Shushōgi
dalla traduzione recitabile del Maestro F.Taiten Guareschi)
La potenza del pentimento sincero
riduce la pena del Karma e purifica, anche se stiamo in qualche
modo subendo le conseguenze di azioni passate. Pentirsi sinceramente è riattingere
alla fonte originale della nostra vita. E’ attraverso
la fede che possiamo riconnetterci all’unità originaria: ‘quella
fede che ci riunisce oltre ogni discriminazione’. Il
pentimento come Kénosi, come svuotamento, uno svuotamento
il cui risultato è la pienezza.
Questa fede che purifica
e salva nasce dall’esercizio stesso, è la potenza
trasformativa dell’azione. Quell’azione, quel
gesto, che fa scaturire la comprensione. Ricordate la volta
scorsa vi parlavo di Etty Hillesum, del suo inginocchiarsi
come apertura alla ierofania, al mistero.
Oppure ricordate
Pascal che affermava: ‘va bene fare discorsi ma innanzitutto
inginocchiati e prega’. Questo è un aspetto
molto importante: ‘Non celebriamo il rito perché abbiamo
fede ma abbiamo fede perché celebriamo il rito’.
Qui rispondo alla domanda di M. che mi chiedeva qualche giorno
fa riguardo l’aspetto liturgico nella pratica Zen.
Avrete senz’altro sperimentato la potenza trasformativa
di un gesto. Come un gesto può istantaneamente trasformare
uno stato d’animo, dissolvere il dubbio. Perché l’azione,
e l’azione rituale in questo caso, parla direttamente
al nostro inconscio.
Quando facciamo sanpai questa
resa alla terra e questo risorgere al cielo provocano istantaneamente
una metamorfosi del corpo e della mente. Per l’uomo
moderno è oggi così importante riportare la
fronte, il cervello frontale, alla terra, affermava il Maestro
Deshimaru.
Il Capitolo dello Shōbōgenzō Keisei
Sanshoku fu esposto da Dogen Zenji nel 1240 il quinto giorno
di Kessei Ango (il ritiro di tre mesi che andava da Aprile
a Giugno).
Quando Dogen Zenji era tornato
dalla Cina, dove aveva studiato sotto la guida di Tendo Nyojō Zenji,
viaggiò per sei anni attraverso il Giappone senza
fissare alcuna dimora. Dopo sei anni fondò Kōshōji
a Fukakusa. Il Tempio fu inaugurato nell’Ottobre 1236
e il 31 Dicembre di quello stesso anno Koun Ejō fu insediato
come primo discepolo (Shuso).
Ricordate che Koun Ejō scrisse
lo Zuimonki che raccoglieva le sue note all’Insegnamento
del suo Maestro (capitolo mai inserito nello Shōbōgenzō).
Tre anni dopo, a causa del numero dei fedeli che aumentava
considerevolmente Dogen Zenji pensò di far costruire
una seconda sala di meditazione dando così il via
anche in Giappone allo sviluppo di un monastero Zen all’altezza
di quelli che aveva visto in Cina. Dogen Zenji era soddisfatto
perché vedeva realizzarsi la sua profonda aspirazione
di veder tramandato in Giappone l’Insegnamento di Bodhidharma.
Questa soddisfazione traspare nel fascicolo Keisei Sanshoku
dello Shōbōgenzō, insegnamento che impartì proprio
in quel periodo.
Il titolo di questo fascicolo,
Keisei Sanshoku è stato
ispirato a Dogen Zenji dai versi della poesia di Su Tung-Po: “La
forma della montagna, la voce della valle sono la postura
e la parola di nostro Signore Shakyamuni Buddha! Uditi gli
84.000 Sutra, la notte, Come potrei ripeterli ?” Si
parte dall’esercizio, dalla pratica, e attraverso l’azione
si accede alla Realizzazione, alla comprensione, che non è una
comprensione intellettuale, non ci è possibile ripetere
il giorno dopo gli 84.000 Sutra che abbiamo ascoltato di
notte, ma è comprensione intima che non può essere
ricercata fuori di sé stessi.
E’ manifestazione
del sacro che è ‘intercettato’ attraverso
tutti i sensi, è ricevuto dal corpo in un’epifania.
E si deve essere dentro l’esperienza religiosa, ed
essendo dentro l’esperienza stessa diventa inesprimibile,
ci lascia nell’apofasia totale, perché quando
si fa un’analisi, quando si vogliono mettere insieme
i ‘pezzi’ di un’esperienza, che è esperienza
del Tutto, si diventa immancabilmente degli osservatori esterni,
il Tutto è vivisezionato in parti che si osservano ‘dal
di fuori’ e l’esperienza religiosa è persa
perché richiede di essere parte di quel Tutto. Siamo
comunque chiamati a condividere questo sentimento di gratitudine,
questo stupore, questa meraviglia, come hanno fatto il Buddha
e i Padri che attraverso il loro Esercizio, il loro Insegnamento,
hanno lasciato ‘aperta la Porta della Compassione’.
E’ una comprensione che deve essere costantemente alimentata
col combustibile del nostro esercizio, e alimentare la comprensione
con l’esercizio richiede sforzo, generosità.
Si tratta di quello sforzo e di quella generosità che
oggi si stenta ad accettare e a manifestare, in questa società del ‘self
made man’ diventa impossibile comprendere l’esempio
di Eka Daishi che si taglia il braccio per testimoniare la
propria fede a Bodhidharma, oppure l’esempio, riportato
proprio nel Keisei Sanshoku, del Bodhisattva che per evitare
che il suo Maestro si sporcasse i piedi lo fa passare sui
propri capelli coi quali copre il fango.
Mi è capitato
spesso di sentire i commenti di persone scandalizzate di
fronte alla devozione di allievi nei confronti del proprio
Maestro, di fronte alla cura, all’attenzione verso
le necessità del Maestro che fanno sì che possa
insegnare serenamente. L’esercizio richiede sforzo
(Gyoji) e praticando a volte ci si trova ad essere meno energici
e motivati, ecco che allora viene in nostro sostegno il rito,
la confessione. “Per curare la distrazione, la pigrizia,
la sfiducia, bisogna pentirsi sinceramente davanti al Buddha.
La virtù di questo atto di pentimento salva e purifica.” (Dogen
Zenji)
Ma questo pentimento non ha
nulla a che vedere col riconoscere una colpa, quello che
confessiamo è il
nostro volto dell’origine, è l’aver mancato
di riconoscere ed esprimere la nostra originaria ed incontaminata
purezza. La nostra ‘natura di Buddha’.
Il Maestro
Taiten dice che è più facile per noi riconoscerci
colpevoli peccatori, piuttosto che gioiosamente declamare
la nostra purezza. Il fatto di dichiararsi colpevoli può,
in qualche modo diventare un modo per disimpegnarsi mentre
il confessare la purezza originale richiede coraggio perché dobbiamo
poi testimoniarla con la nostra vita.
Ed è proprio
da questa prospettiva che va vissuta la confessione. E’ proprio
a partire dal riconoscere l’incontaminabile purezza
che ci fonda che possiamo esprimere il voto di manifestarla
nella nostra vita. E quello che fa un Maestro non è altro
che ricordarci costantemente la nostra natura originale,
quando vede che ci comportiamo da mendicanti ci ricorda che
siamo dei re.
Abbiamo perso il passo e riconosciutolo,
gioiosamente lo ristabiliamo, come un bimbo che cammina col
padre, si distrae e rimane indietro, appena se ne accorge
saltellando gioiosamente torna a raggiungerlo. Non dunque
una contrizione ‘stagnante’ ma
una dinamica rinascita. ‘Ogni giorno vi inginocchiate
e, con le mani in Gasshō, le punte dei piedi ben distese,
e nel viaggio dello spirito, smarrita la direzione, la ritrovate,
vi riorientate come il navigatore in mezzo all’Oceano…Il
Bodhisattva è una persona come le altre che però guarda
costantemente in direzione di questa verità e questa
sua capacità di guardare in direzione del Buddha è inseparabile
da ciò che definiamo rituale.’ (M° Guareschi
da note di P.Taigō Spongia)
E’ una continua rinascita.
Osho Rajneesh raccontava la storiella di una falena, sapete
quelle farfalle notturne che girano intorno ai lampioni.
Una giovane falena, una notte, mentre svolazzava con le sue
compagne, guardò in alto e tra le fronde di un albero
vide una meravigliosa luce bianca. Era la luna e non aveva
mai visto nulla di simile, lei e le sue compagne erano abituate
a cercare e volare attorno alla luce di candele, lampioni… una
volta trovate queste luci continuavano a ruotarci intorno
continuamente.
La visione della luna cambiò la
vita della giovane falena che decise che non si sarebbe mai
più accontentata
di girare attorno a qualcosa che non fosse la luna. Così,
ogni notte, quando le falene uscivano dai loro nidi e ognuna
andava in cerca di una fonte luminosa, la giovane falena
si dirigeva verso il cielo e benchè la luna rimanesse
sempre al di là delle sue capacità di volo,
non si scoraggiava e continuò a vivere cercando di
raggiungere la luna.
I suoi amici, la sua famiglia,
i vicini, cominciarono ad insultarla, a prenderla in giro
vedendola puntare alla luna invece di fermarsi a girare attorno
al primo lampione. Ma tutte le falene, ad una ad una, fecero
la fine di ogni falena, girando attorno alla candela, al
lampione, finirono col rimanere bruciate.
E le altre falene
non potranno che essere in collera con lei perché ha
sollevato gli occhi verso la luna e rappresenta la loro cattiva
coscienza, mentre loro continuano abbagliate a girare attorno
alle candele ed ai lampioni, al denaro, alla fama, al potere,
e pensano che la loro vita si riduca a questo, per poi morire.
E non è importante raggiungere la luna ma è l’amore
per la luna che ha il potere di trasformare, è questa
fede che diventa l’alchimia della trasformazione. L’esperienza
religiosa è nella continua ricerca della ‘verità’ non è nel
raggiungerla, è il cammino (Dō) quando pensiamo
di aver raggiunto una qualche comprensione della verità in
realtà l’abbiamo già persa. La verità è sempre
una ricerca della verità.
E “La vera espressione
della nostra gratitudine può trovarsi soltanto nel
nostro esercizio quotidiano” troveremo affermato più avanti
nello Shushōgi. E uno dei principi fondamentali sottolineati
da Dogen Zenji , Shū Shō Ichinyo, la pratica e
la Realizzazione coincidono, esprime anch’esso questo
concetto chiave perché Shū può essere
reso anche con ‘ritornare all’Origine’ (oltre
che studiare, apprendere) e Shō con risvegliarsi ma
anche con: prendere coscienza.
Tutto il nostro esercizio
quotidiano trova il suo fondamento dunque da questo ‘tornare
all’Origine’. E questa trasformazione, questo
rigenerare la propria fede, influenza non solo sé stessi
ma anche gli altri, tutte le esistenze: ‘Pura la fede
quando compare (appare) trasforma noi e gli altri e ‘l
suo beneficio s’estende senza confini ad ogni cosa
e ad ogni vita animata ed inanimata.’
Quante volte
mi avete sentito rispondere, a chi lamentava il fatto che
nella propria famiglia, tra i propri conoscenti, non veniva
ben accettata la propria pratica, che innanzitutto avrebbe
dovuto alimentare la propria fede e questo avrebbe automaticamente,
inconsciamente, influenzato chi gli era vicino. Siamo noi
ad essere pieni di dubbio, a non credere.
A.N.Terrin affermava
qualche giorno fa a S.Giustina: ‘Chi crede ha sempre
ragione’ e ‘manca comunicazione quando non siamo
convinti delle nostre credenze’.
Fanno bene a mettere
in dubbio la validità e l’opportunità di
quel che facciamo e diciamo perché siamo noi i primi
a non credere in quel che diciamo e facciamo e allora ben
venga chi ci dice che stiamo perdendo il nostro tempo, dovremmo
ringraziarli e con molta umiltà osservare noi stessi,
alimentare la nostra fede attraverso la pratica.
Questa pura
fede (Jōshin) si estende ad ogni esistenza. “Se
siete fisicamente e mentalmente pigri e privi di fede, dovete
pentirvi di fronte al Buddha e mostrare la vostra più seria
determinazione. Il potere del pentimento purifica la mente,
aumenta la nostra fede e fortifica l’attitudine alla
prassi. Quando la pura fede è manifestata, cessa la
discriminazione tra sé e gli altri e nasce equanimità ed
armonia. Si manifesta anche la grande compassione del Buddha
e la nostra virtù influisce su tutti gli esseri animanti
ed inanimati e reca loro giovamento.” (Shōbōgenzō Keisei
Sanshoku, editrice Pisani)
Questo è particolarmente
evidente nel Sangha dove la negligenza o l’energia,
lo slancio di uno, influenza tutti. Attraverso l’esercizio
ci facciamo ricettivi, aperti, e ogni cosa ci insegna il
Dharma. Il suono del torrente allora esprime la Parola del
Buddha e il colore della Montagna il suo meraviglioso Corpo,
come espresso nella poesia di Su Tung Po.
“Gli uomini
ammucchiano conoscenze ma io penso che il fine ultimo sia
di poter sentire il suono della valle e guardare il colore
della montagna.” Diceva Sawaki Roshi.
E Dogen Zenji
ancora nel Keisei Sanshoku incalza: “E’ un vero
peccato che dai tempi antichi fino ad oggi vi siano persone
che non comprendono che l’Universo proclama il reale
corpo del Buddha; sono da compiangere. Cosa vedono guardando
una montagna ? E cosa sentono ascoltando un torrente della
valle? Sentono un solo suono invece degli 84.000 Inni? E’ deplorevole
che molti apprezzino solo gli aspetti superficiali di suono
e colore.” (Shōbōgenzō Keisei Sanshoku,
editrice Pisani)
Saper vedere che: “Le
montagne scorrono e i fiumi sono fermi” è lo sguardo del Risvegliato,
come sentire il suono del martello prima e dopo che colpisca
la campana.
“Una volta un monaco chiese al Maestro
Zen Chōsa Keishin: ‘Come possiamo possedere montagne,
fiumi e terra, come se fossero nostri?’ in risposta
Chōsa disse: ‘Come possiamo ritornare a montagne,
fiumi e terra?’ Questa risposta significa che quando
non consideriamo noi stessi come qualcosa d’altro,
ed esistiamo veramente nella nostra propria reale natura,
allora non vi è nulla di sbagliato se affermiamo di
essere montagne, fiumi, terra”. (Shōbōgenzō Keisei
Sanshoku, editrice Pisani)
Ecco la confessione, ecco sanpai,
tornare ad essere montagne, fiumi, terra, ritornare a vedere ‘la
montagna di tesori su cui viviamo’ e come ogni cosa ‘anche
nel mezzo dei vari mondi del samsara diviene la prassi del
Risveglio stesso’.
Prosegue il capitolo dello
Shushōgi: “9.
Anche se il peso del nostro cattivo karma passato pare esser
d’ostacolo al seguir la Via, invochiamo d’ogni
Buddha Tathagata e Patriarchi la compassione, il potere,
perché ci liberino da questo male, dagli ostacoli
che impediscono il Sentiero, perché possan dividere
con noi la loro Compassione, ch’è grazie a questa
che la virtù il merito e la maestria loro, colma l’intero
universo. 10. I Buddha e i Patriarchi nel passato in origine
come noi erano . Noi in futuro come loro (come i Buddha e
i Patriarchi) saremo. Senza inizio ira, brama, ignoranza
di tutto il nostro male causa sono col corpo parola mente
nasce ogni male del quale ora faccio ampia, piena confessione.
Col pentimento profondo (sincero) confessiamo d’ogni
Buddha e Patriarca l’invisibile e sicuro aiuto, memori
e (cor)retti nella postura. Così il poter della confessione
sradica il male. (il poter della confessione il male sradica).
(Shushōgi dalla traduzione recitabile del Maestro F.Taiten
Guareschi)
Ira, brama, ignoranza, i tre
veleni, le contaminazioni della pratica (Klesa) che si frappongono
al Risveglio e che attraverso lo sforzo risoluto dell’esercizio
sono trasformati in alimento del Satori : Bonno soku Bodai.
E attraverso
l’atto di confessione ci rammemoriamo del fatto che
Buddha e Patriarchi ci vengono in sostegno e soccorso. Se
noi pensiamo al tempo come un processo lineare, come siamo
stati educati a considerarlo, come una linea orizzontale
che va dal passato al futuro, allora, può apparire
strano, si può stentare a credere che Buddha e Patriarchi
possano qui e ora sostenerci. Ma la nostra percezione è limitata,
illusoria.
Esiste una linea verticale
del tempo che si incrocia con la linea orizzontale proprio
nel momento presente. Quando ‘siamo
tempo’ (Uji) afferma Dogen Zenji, quando siamo totalmente
presenti alla vita allora il momento presente è eternità dove
tutte le esistenze passate, presenti e future si incontrano.
Quando ci affidiamo alla Via con gioia e determinazione,
senza preoccupazioni di fama e profitto, saremo sotenuti
sempre e comunque.
“Di cosa discutevate ?”,
mi chiede il Maestro Taiten. “Di come finanziare i
lavori di edificazione del monastero”, rispondo. “Non
perdete tempo a discutere. Raccogliete le foglie, pulite
le scale, bruciate incenso. Solo così arriveranno
le offerte per costruire il Tempio. Il Tempio si costruirà con
i sacrifici ed il cuore puro.” (R.Myoren Giommetti)
I Buddha e i Patriarchi erano
persone che si sostenevano facendo affidamento soltanto sulla
pratica e dal loro esempio ci viene la serenità di
sapere che saremo sempre sostenuti se alimentiamo questo
spirito. Richiamando il loro esempio ricordiamo che anche
i Buddha/Patriarchi hanno percorso il nostro stesso cammino,
affrontando difficoltà e delusione,
realizzando la Via, e la loro pratica, il potere generato
dal loro inesauribile esercizio ci sosterrà sempre
e comunque.
Così si chiude lo Shōbōgenzō Keisei
Sanshoku: “Se ci pentiamo, di certo avremo l’aiuto
del Buddha, anche se non possiamo percepirlo. Concentrate
i vostri pensieri, rafforzate il corpo, vuotate la mente,
prosternatevi e rivelate ogni colpa e ogni cattivo comportamento
passato. Il potere del pentimento rimuove ogni colpa. Questa è la
pura e corretta prassi, questa è la vera fede manifestata
nel vostro corpo. Allora potrete udire gli 84.000 inni di
lode pervenire dal torrente e dalla montagna.
Se vi
pentite davanti al Buddha, invece di rimuginare sulla vostra
mancanza di fama e di ricchezza, il torrente e le montagne
non smetteranno mai di insegnarvi la Via. Tuttavia sia
che il suono del torrente e il colore della montagna vi
manifestino gli 84.000 inni di lode o no, pure essi esistono.
Non si sentono solo di notte. Se non abbiamo la mente adatta
alla prassi e manchiamo del potere della verità, come possiamo scoprire l’unità del
suono del torrente, del colore della montagna e di noi stessi?” (Shōbōgenzō editrice
Pisani)