Orma del piede di Buddha
E’ mio desiderio iniziare da questa sera un ciclo
di lezioni volte ad illustrare lo Shushōgi, fondamentale
testo Zen Sōtō, che raccoglie in una sapiente selezione
il pensiero e Insegnamento di Dōgen Zenji espresso nei
95 capitoli dello Shōbōgenzō.
Alcuni di voi
sono già venuti in contatto con quest’opera
mentre per molti si tratta ancora di una novità.
La
mia intenzione è quella di fare un lavoro di ricerca
in cui approfondire i singoli capitoli del testo andando
a ricercare all’interno dei capitoli dello Shōbōgenzō da
cui i paragrafi son tratti in modo da avere un respiro più ampio
nello studio e nell’ermeneutica del testo.
Questo proposito
comporta uno sforzo da parte mia che mi auguro sia sotenuto
da un attivo interesse da parte vostra, vi prego quindi di
intervenire con domande, riflessioni…in modo che,
insieme, si possa portare avanti una ricerca ed uno studio
approfonditi e, di certo per noi, inediti.
Vi ricordo l’origine
di quest’opera: vede la sua compilazione definitiva
nel 1890 ad opera dei due abati dei Daihonzan, dei due templi
madre della Sōtō Shū, Takiya Zenji di Eiheiji
e Azegami Zenji di Sōjiji. I due Abati si sono basati
sulla straordinaria opera precedentemente prodotta da un
laico: Ouchi Seiran, al quale va riconosciuta la grande capacità di
saper estrapolare dai capitoli dello Shōbōgenzo
i passaggi chiave che sapientemente riuniti nello Shushōgi
hanno dato vita ad un ‘distillato’ dell’Insegnamento
di Dogen Zenji o per meglio dire dell’Insegnamento
di Buddha Shakyamuni.
Si tratta pertanto di un compendio ‘catechistico’ che è indirizzato
principalmente, anche se non esclusivamente, ai fedeli laici.
I due Abati, nonostante la diversa impostazione pedagogica
nella formazione monastica attuata nei due Templi, si sono
trovati in pieno accordo nella stesura dello Shushōgi.
Proprio la sua caratteristica
di essere un’opera indirizzata
prevalentemente ai laici fa si che in essa non vengano trattati
due aspetti più caratteristici della formazione monastica,
ovvero, lo studio del Dharma sotto la guida di un Maestro,
la trasmissione del Carattere che viene dal condividere vita-pratica
con l’Insegnante, in giapponese definito Sanshi Monpō,
e la pratica fondata sull’intenso esercizio dello Zazen,
Kufū Bendō.
Lo Zazen non è mai citato direttamente
in tutta l’opera e un po’ come nel Bendowa Dogen
Zenji dopo aver dettagliatamente descritto la pratica dello
Zazen afferma:’ …eppure lo Zazen non ha nulla
a che vedere con la posizione seduta…’, lo Zazen è la
mente che è alla base dei principi esposti in tutta
l’opera.
Cominciamo con l’esaminare il titolo
dell’opera:
Shushōgi, attraverso l’analisi
dei caratteri che lo compongono:
Shu: Il carattere esprime
lo sforzo, la coltivazione del comportamento, atti ad attualizzare,
incarnare un’Insegnamento. Il carattere è il
medesimo diShugyō, o Shukyō in un’accezione
più a carattere religioso, che esprime il percorso
ascetico, shugyosha è colui che percorre questo sentiero,
colui che fa della propria vita una pratica continua, colui
che comprende che vita e pratica sono unità, Shushō Ichinyo.
Dicevo qualche giorno fa a coloro che hanno superato gli
esami di graduazione del dojo di Karate: la pratica richiede
sforzo perché si tratta di ‘riorganizzare’ la
propria vita, di riarmonizzarsi con l’Ordine Cosmico,
abbandonando le cattive abitudini sostituite dai principi
del Dharma.
Il Buddha è definito anche ‘il grande
medico’ perché somministra la cura. Diceva: ‘Non
vi posso mostrare la luce, poichè non siete in grado
di vederla, ma posso suggerirvi il rimedio per guarire i
vostri occhi in modo che possiate vedere la luce direttamente’.
Ma come un buon medico sa bene non basta una pillola a guarire,
ma il malato deve rivedere il proprio stile di vita insieme
alla terapia e spesso è più efficace questo
riorganizzare il proprio stile di vita che la terapia stessa.
Allora il Buddha dettava il rimedio: lo Zazen e nello stesso
tempo suggeriva come riarmonizzare il proprio stile di vita
con l’Ordine Cosmico, i precetti.
Shō: è tradotto
con Risveglio o Realizzazione. Se analizziamo il carattere
vediamo che il radicale di sinistra rappresenta il parlare,
la parola, e quello di destra rappresenta il giusto. Quindi
La parola che esprime ciò che è giusto, la
prova, l’evidenza. L’espressione Risveglio ricorre
costantemente nell’Insegnamento del Buddha. Si vive
nel sonno e come zombie perpetuiamo meccanicamente azioni
per cui siamo programmati. Tutt’altro che liberi agiamo
e re-agiamo costantemente spinti dalla corrente generata
da ira, brama, ignoranza (i Tre Veleni) e dal nostro Karma.
Praticare lo Zen significa de-programmarsi, smettere di agire
sulla base dei condizionamenti. E questo Risveglio coincide
con l’esercizio stesso (ancora Shushō Ichinyo).
Lo Zazen è pratica sul Risveglio.
Gi: Si traduce
con Principio, con un’accezione che attiene al dovere,
alla lealtà (Gi Ri). Ovvero la pratica, la vera pratica,
inizia quando realizziamo la ricchezza e la profondità della
nostra vita e ci sentiamo chiamati alla restituzione di un
debito.
“Render grazie e la pietà son l’esercizio
senza fine d’ogni giorno. (ogni istante della nostra
vita è prezioso) Nell’oblio di sé Non
c’è giorno che non sia un buon giorno.”
Shushōgi
cap.V
Questa è la pratica,
non c’è pratica
senza questa gioia del ‘render grazie’, la commozione
costante di fronte alla rarità e preziosità di
ogni singolo istante. Questo ‘oblio di sé’ ha
tutt’altro che un’accezione nichilistica. Si
tratta di abbandonare il nostro ‘piccolo io’ generato
e nutrito dalla nostra illusione, dalla nostra ignoranza.
L’abbandono del ‘piccolo io’ è possibile
soltanto quando si comincia a restituire, si abbandona la
presa che trattiene e argina la vita, quando ci spende donandosi.
Allora la vita in tutta la sua grandiosa potenza fluisce
liberamente attraverso di noi. La pratica religiosa è proprio
questo abbandono, questo lasciarsi attraversare dalla meraviglia,
lo Zazen è pratica ‘pentecostale’, si
attende, aperti al mistero. Nell’abbandonare la ‘piccola
mente’ lasciamo che si manifesti, attraverso la nostra
forma che è azione, la ‘Grande Mente’,
la Mente del Buddha.
Da Budhha a Buddha altro non
si trasmette che questa mente: “Shakyamuni Buddha altro
non è che
questa stessa mente.” Shushōgi cap.V Dunque traduzione
del termine Shushōgi è ‘Sul Principio
della Realizzazione in Esercizio’ .
Ovvero, nella versione
recitabile elaborata dal Maestro Taiten : ‘Dei Principi
dell’Esercizio nel Risveglio’, che esprime bene
il concetto poc’anzi descritto della pratica come espressione
del Risveglio e non il Risveglio come effetto successivo
all’esercizio.
Nell’esercizio la Realizzazione
e a sua volta il Risveglio non può essere espresso
altrimenti che attraverso l’esercizio. La prassi dice
Dogen Zenji è matrice del bene:
“Il bene non è esistenza,
non-esistenza, vacuità o forma: è solo prassi;
indipendentemente dal luogo e dal tempo in cui viene realizzato,
esso è prassi.” Shōbōgenzō Cap.
31
Shoakumakusa Il Bodhisatva è dunque ‘azione
risvegliata’. Ma questo è comprensibile ed esperibile
solo attraverso la pratica.
Veniamo ora al primo capitolo
dello Shushōgi: Sōjo. Sōjo può essere
tradotto con ‘Introduzione Generale’ ma i caratteri
forniscono anche l’accezione di ‘Mutamento di
prospettiva’ suggerendo come si entri nella pratica
solo nel momento in cui siamo in grado di mettere in discussione
le nostre certezze, il modo in cui conduciamo la nostra vita.
La pratica religiosa si fa beffe delle esigenze umane. Si
tratta di far esprimere l’Ordine Cosmico’ attraverso
la nostra vita. Qualcuno ha definito lo Zen come l’università della
Religione. Senza nulla togliere all’aspetto popolare
e consolatorio delle religioni, lo Zen punta direttamente
al nucleo fondamentale dell’esperienza religiosa, ed è per
questo che la sua radicalità è difficile da
digerire dalla massa che ricerca nella religione conforto
e conferma delle proprie convinzioni.
“Chiarire del
nascer,morire la causa ed il caso è la grande prima
questione di chi del Buddha segue ‘l Sentiero”.
Il capitolo si apre ponendo
la Grande Questione, Dai Ji. Anche l’Hagakure, il testo Samurai, che raccoglie gli
insegnamenti del monaco Zen Sōtō, già Samurai,
Yamamoto Tsunetomo, si apre con l’affermazione: ‘La
Via del Samurai è morire’
Porsi di fronte alla
morte diviene il catalizzatore che fa cadere istantaneamente
l’illusione, l’attaccamento, permettendo così di
abbandonare quella ‘timidezza’ con la quale abitualmente
viviamo. La questione del nascere-morire non è altro
che la consapevolezza dell’impermanenza, a partire
da questa la vita può essere vissuta pienamente. Porsi
di fronte al nascere-morire è Zazen.
“La casa è in
fiamme, e molti cercano di fuggire usando carri diversi.
Costoro devono fermarsi e pensare: dove posso andare ? Fuggire
elimina davvero il pericolo rappresentato dalla casa in fiamme?
Se solo costoro si fermassero nel vicolo e osservassero la
casa che brucia, ne trarrebbero una profonda conoscenza della
vita, e il vicolo diventerebbe il Picco del’Avvoltoio:
un luogo in cui si impara e ci si addestra.” Shōbōgenzō cap.
90 Hokke Ten Hokke
Questo passaggio
dello Shōbōgenzō è una
perfetta descrizione dello Zazen. La casa in fiamme è la
nostra mente illusa dalla quale si pensa di poter fuggire
saltando su veicoli diversi, che non sono altro che distrazioni
dal problema fondamentale del nascere-morire.
Fermarsi e
osservare (Zazen) è l’unico modo per sfuggire
veramente al rogo. Si tratta pertanto di rimenere lì dove
vita-morte si manifestano apprezzando pienamente la rara
e preziosa occasione data da ogni singolo momento.
E’ il
vivere qui ed ora che ci fa nati. In ogni momento dobbiamo
rinascere e in ogni momento morire. In ogni momento rinascere
e la forma che assumiamo è la nostra pratica. Nella
vita essere totalmente vivi nella morte totalmente morti.
La morte si conosce solo da vivi. Il legno non può conoscere
la propria cenere afferma Dogen Zenji. Con la morte non c’è cosa
che non muoia e il Buddha ha insegnato come vivere da vivi,
come spendersi fino in fondo vivendo.
Nasciamo e moriamo
continuamente attraversando i sei regni dell’esistenza
(Rokudō): L’Esistenza Infernale, quella dei Preta,
gli spiriti avidi e affamati, l’esistenza animale e
quella umana, l’esitenza guerriera e quella celeste.
Osservare e divenire consapevoli del processo del nascere-morire
che si manifesta in ogni istante è l’occasione
della percezione della Legge del Karma.
Questa presa di coscienza
permette di comprendere che non esiste azione anche quella
apparentemente più quotidiana, banale o intima, che
non produca dei frutti, degli effetti, con una risonanza
universale, che si manifesta nel presente e nel futuro. Ecco
perché nella ‘vita Zen’ si dà tanto
rilievo alle semplici azioni quotidiane.
Una volta il mio
Maestro, osservando le ciabatte lasciate disordinatamente
dagli ospiti intervenuti all’incontro domenicale, disse: “ queste
persone nel togliere le ciabatte, distrattamente, hanno pensato
che la loro vita fosse oltre quelle ciabatte, altrove, in
altro tempo e luogo…”
“Non due,tre, ma
una sola è la vita. Peccato coltivar Un’erronea
visione. Non basta pensar di non far male o di far bene:
soggetti si è del Karma comunque, scusa non c’è per
chi ‘l giusto non vede. Shushōgi cap. 1
Non basta
pensare di non fare del male o di far del bene, se la nostra
mente non è in grado di ‘vedere la realtà’ non
abbiamo possibilità di distinguere tra bene e male,
che sono comunque contingenti.
Attraverso la pratica si perde
la capacità di compiere il male perché: “Colui
che è capace di una percezione totale può vedere
tutti i dharma, dunque, può vedere un solo dharma
come per esempio un granello di polvere, e conoscere il mondo
intero.” E ancora: “Il bene non è esistenza,
non-esistenza, vacuità o forma: è solo prassi” Shōbōgenzō cap.
31 Shoakumakusa
Il bene è dare la giusta importanza
a ciò che di momento in momento siamo chiamati a fare
dice il rev. Yaoko Mizuno. E’ l’orecchio a questo
richiamo che dobbiamo riaffinare attraverso la pratica. Alla
domanda di Hakurakuten: ‘qual è l’essenza
dell’Insegnamento del Buddha?’ Il Maestro Dōrin
rispose: ‘Non fare alcun male, pratica tutto il bene,
purifica la mente.
D’ogni Buddha questo è tutto
l’Insegnamento’ La chiave del ‘non fare
il male e praticare il bene’ è in quel ‘purifica
la mente’ che non è altro che l’esercizio
d’ogni giorno.